Il coleottero, osservato in Lombardia, è in grado di attaccare quasi trecento specie di piante. I problemi legati al controllo e alla rapida diffusione
C’è un pericolo imminente per le colture italiane e viene dal Giappone. Si chiama Popillia japonica o, appunto, coleottero giapponese. Visto un recente attacco chiaramente imputabile a questa specie osservato in Lombardia, l’allarme è giustamente alto. Estremamente polifago, lo scarabeide può attaccare quasi 300 specie di piante, siano esse erbacee o legnose. Diversi ospiti italiani sono colture di pregio come la vite, varie specie floricole e piante ornamentali.
In Giappone, dove è specie autoctona, non è responsabile di infestazioni grazie alla presenza di antagonisti. Arrivato negli Stati Uniti nel 1916, si è diffuso rapidamente arrivando nel 1967 a essere presente in 23 Stati. La mancanza di nemici, il clima particolarmente favorevole e l'elevata gamma di ospiti sono i fattori che determinano una così rapida diffusione. Difficilmente eradicabile, sembra che l'unica strada percorribile sia quella del controllo. Inserito nella lista A1 Eppo tra gli insetti da quarantena, nel continente Europeo stato segnalato in Portogallo e in Russia.
Descrizione. Gli adulti sono lunghi fino a 1 cm e larghi circa 7 mm. Presentano una caratteristica colorazione metallica verde brillante con elitre color rame. Lateralmente sono visibili i peli grigi lasciati scoperti sull'addome. Il tratto identificativo più importante della specie sono appunto cinque macchie di peli bianchi su ogni lato. I maschi sono leggermente più piccoli delle femmine, le antenne sono generalmente nascoste in tutti e due i sessi e diventano visibili solo quando l'insetto percepisce stimoli odorosi o feromonici.
Le uova hanno diametro di circa 1,5 mm con colorazioni variabili dal bianco al crema e durante lo sviluppo aumentano di volume fino al raddoppiamento.
Le larve sono trasparenti, bianco-giallastre e ricoperte di peli marroni e spine. Si distinguono 10 segmenti addominali e 3 toracici. Questi ultimi portano ognuno un paio di zampe. L'accumulo di feci nel proctodeo (intestino posteriore) conferisce una colorazione scura alla parte terminale dell'insetto. La larva a riposo si ritrova nel terreno nella caratteristica forma a C, tipica degli Scarabeidi. Dopo l'ultimo stadio larvale l'insetto si impupa in celle nel terreno presentando colori che variano dal giallo al verde metallico in relazione all'età.
Biologia. Generalmente il ciclo vitale di Popillia japonica dura 1 anno, 2 in climi particolarmente freddi. Le variabili che regolano lo sviluppo dell'insetto sono essenzialmente latitudine e altitudine. Gli adulti compaiono tra maggio e giugno, nelle zone più settentrionali si può ritardare fino a inizio luglio.
Subito dopo inizia la stagione dell'accoppiamento, con l'emissione di feromoni da parte delle vergini che stimolano i maschi. Questi, avvicinandosi in gran numero formando gruppi chiamati palle, diventano molto competitivi. L'ovideposizione avviene preferenzialmente su specie erbacee, le favorite per la nutrizione delle future larve. Il fattore che determina la scelta del sito sembra essere la morbidezza e il grado di umidità del suolo. La femmina scava nel terreno e depone al massimo 3 uova per poi riemergere per nutrirsi e accoppiarsi nuovamente. Durante la stagione può compiere questo processo per molte volte arrivando a deporre in totale fino a 60 uova. La schiusa avviene circa due settimane dopo l'ovideposizione e le larve si nutrono delle radichette per due mesi. L'attività si interrompe in autunno quando la temperatura scende intorno ai 10°C. La primavera seguente le larve riprendono l'attività trofica e dopo circa un mese si trasformano in pupe. Dopo un periodo che varia da 1 a 3 settimane avviene la metamorfosi in adulto, stadio che dura in media poco più di un mese con sostanziali differenze tra popolazioni che vivono in climi diversi. La vita degli adulti tende ad essere più lunga a temperature più fredde e più breve con temperature più calde.
Danni devastanti. P. japonica allo stadio larvale è capace di distruggere interi appezzamenti di erbacee e di campi coltivati. L'aggressione si riconosce dal sopraggiungere di chiazze disseccate sulla superficie dei prati, è comunque necessario effettuare campionamenti per rilevare l'effettiva presenza del fitofago nel terreno. Generalmente si fa seguire un trattamento quando la presenza di larve è superiore alla media di 90/m2. L'adulto si nutre principalmente di specie legnose, mangiandone le foglie. I morsi interessano l'intera superficie fogliare ma tralasciano le nervature, conferendo alle foglie un caratteristico aspetto scheletrico. Gli adulti sono in grado di produrre efficaci feromoni di aggregazione, quindi anche la presenza di pochi individui può rappresentare una seria minaccia. Reagiscono molto anche all'emissione di composti volatili da parte delle piante aggredite, che attirano anche altre specie di coleotteri fitofagi.
La rimozione manuale è il metodo migliore quando ci troviamo in casi di infestazione limitata, sono state anche testate diverse trappole che risultano utili per il monitoraggio ma inefficaci nel caso si voglia effettuare delle catture massali.
Sono stati trovati coleotteri e formiche predatori di questo fitofago. La loro introduzione deve essere però valutata molto bene poiché potrebbero emergere problematiche derivate dall'aspecificità della predazione.
Due imenotteri originari dell'Asia, Tiphia vernalis e Tiphia popilliavora, si sono rivelati efficaci come parassitoidi di P. japonica. Il nematode Steinernema kushidai ha dimostrato di causare una mortalità simile a quella di insetticidi organofosfatici.
Bacillus thuringiensis, producendo tossine velenose una volta ingerito, è un batterio che potrebbe rivelarsi molto efficace nella lotta a questo pericoloso fitofago che minaccia anche il nostro Paese.