Non capita spesso di visitare dei luoghi e sentirsi impotenti davanti a qualcosa di inspiegabile e emotivamente impattante. Nel “National 9/11 memorial”, questa sensazione mette quasi a disagio. Troppo forte quello che è successo qua e altrettanto emotivamente bello, nel brutto dell’accaduto, ciò che è stato realizzato. Il World Trade Center esiste ancora, nonostante l’assenza pesante delle torri gemelle. A ricordarle ci sono due cascate di nove metri, che sprofondano fino a non poterne percepire la fine. Il loro perimetro è circondato da parapetti in bronzo e sopra ci sono incisi i nomi delle quasi tremila vittime degli attentati di quei giorni, pompieri e forze dell’ordine compresi. Perché tutti possano condividere le emozioni portate dallo stare in quel luogo, c’è un giardino: a breve sarò completato e diventerà aperto, senza più controlli all’ingresso.
Obiettivi e ricordo. Il progetto, dal nome “Reflecting Absence”, è del paesaggista Arad Peter e dello studio di Peter Walker ed è stato selezionato in un concorso che ha avuto oltre 5000 partecipanti. Tante le pressioni e le proteste arrivate da politici e familiari delle vittime che ne hanno modificato, in parte, i contenuti . Gli obiettivi iniziali, però, sono rimasti intatti e a passeggiare dentro il parco si sentono tutti. L’idea, infatti, era quella di creare un grande vuoto dove c’erano le torri, realizzare un luogo contemplativo (le cascate riescono anche a coprire i rumori della città) e dare a Manhattan un nuovo posto pubblico dove poter sostare. A finanziare il tutto c’è una fondazione (National September 11 Memorial & Museum Foundation) che gesrtisce i fondi per completare gestire il memoriale.
Alberi e prato. Se sembra di essere fuori e dentro la città allo stesso tempo, è merito delle 412 querce bianche (Quercus bicolor) scelte per completare e comporre il memoriale. Piantati già adulti e perfettamente formati, gli alberi sono sistemati in filari intervallati da prati e panchine in cui i visitatori possono sostare. La disposizione delle querce non è casuale, perché ricorda gli archi presenti alla base delle torri gemelle. Da sottolineare la scelta della specie, effettuata anni prima della piantagione, così che il vivaista avesse il tempo di coltivarla, per cinque anni in grossi contenitori, secondo la richiesta del progettista. Impalcatura, diametro del tronco e altezza sono standardizzati e conformi all’idea di creare delle colonne robuste e una chioma a baldacchino, capace di coprire l’intera area calpestabile. Anche la pavimentazione è stata studiata per evitare le cause da stress delle piante in ambiente urbano. Le lastre su cui camminano le persone, infatti, sono adagiate su uno strato di terreno non compatto e l’acqua piovana viene drenata e convogliata in grandi cisterne per il suo riutilizzo. Le rusticità della Quercus bicolor , specie originaria del mid-west e del sud del New-England, garantisce l’adattamento e la persistenza del boschetto in città.
L’albero della sopravvivenza. C’è solo una pianta che è diversa da tutte le altre. Non è una quercia, ma un Pyrus calleryana e assume un valore simbolico: è l’unico albero sopravvissuto dal 2001 e dopo la rimozione di “ground zero”, si presentava fortemente compromesso. È stato deciso di sradicarlo e trasferirlo in un parco del Bronx dove ha ripreso vigore. Lo scorso anno è stato ripiantato nel suo luogo originario diventando un vero e proprio valore aggiunto. Ed è diventato un monumento alla sopravvivenza.
Foto di 9/11 Memorial and Museum