Un viale come esempio di recupero storico

Piantare alberi in città è possibile, ma occorre farlo bene. Il viale Arcadia di Pistoia, tra storia e idee futuribili
1079

Nel mondo si stanno moltiplicando tentativi per portare dentro le città inserti significativi di vegetazione, in particolare alberi, con un estendersi di iniziative che rimanda a momenti gloriosi per il verde urbano, come le grandi trasformazioni urbanistiche ottocentesche delle capitali europee o il Park-Movement statunitense. Il caso attuale più noto è ancora americano, con il progetto “One Million Trees” di New York, ma anche l’Italia nel suo piccolo, partecipa a questa tendenza (Milano con 7.000 nuove piantagioni, Bologna con le oltre 3.000 del progetto Gaia).

Albero dentro la città Siamo di fronte ad un vero e proprio nodo filosofico che contrappone natura e cultura, terra e cemento, bosco e città. Si tratta senza dubbio di un rapporto difficile e tormentato, in quanto i due fattori hanno esigenze spaziali e ambientali molto diverse, se non opposte. Gran parte delle nostre città storiche, spesso di impianto medievale, non prevedevano affatto la presenza al loro interno di alberi, se non nelle aree marginali e più periferiche, un tempo destinate a orti domestici e giardini, comunque chiusi e separati dagli spazi urbani. Con un’impostazione più moderna, nei viali e nei giardini pubblici, come anche sui bastioni murati non più utili alla difesa delle città, gli alberi cominciarono in seguito a trovare spazi e funzioni compatibili con il loro sviluppo.

Viali alberati. Queste forme di verde urbano sono diventate paesaggi ormai acquisiti e condivisi nella nostra società. Acquisiti, ma non cristallizzati, in quanto soggetti alla variabile "tempo", che li rende mutevoli e sempre in movimento. Per far capire meglio questa continua trasformazione, riporto il caso dell’Arcadia, viale alberato pistoiese che da secoli svolge funzioni ricreative urbane, come rivelato anche dal suo nome così idillico, peraltro presente fin dalla fine del ‘500. Fascia arborata e irregolare molto estesa, lunga quasi un chilometro, posta all’interno delle Mura fiorentine, l’Arcadia era usata come tappa di riposo delle mandrie equine granducali (Medici e poi Lorena) durante il lungo trasferimento tra Firenze e gli alpeggi sulla Montagna Pistoiese, alla Foresta del Teso, ma in seguito anche per il passeggio cittadino e il passo delle carrozze. A quel tempo (metà ‘700), le specie arboree dominanti nell’Arcadia erano l’olmo, forse l’albero più diffuso lungo le strade e in ambito urbano e, in second’ordine, la quercia e il platano. Di queste storiche presenze sono rimasti degli esemplari molto belli di platano in prossimità della Fortezza Medicea di Santa Barbara e un ultimo individuo di olmo, che però il comune di Pistoia dovette tagliare nel 1999 per gravi motivi di stabilità e rischio.

Arrivare ai lecci.  Intanto, fra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, altri olmi del viale erano stati sostituiti con robinie, albero allora molto apprezzato anche per gli aspetti ornamentali, oggi non più di moda, anzi quasi demonizzato per la sua aggressività nei nostri boschi di castagno. Tale sistemazione arborea, connotata da una grande leggerezza di fronda e luminosità tipiche della robinia, cambiò completamente con una nuova piantagione, avvenuta subito dopo la II Guerra Mondiale, fatta con il leccio, albero sempreverde dai toni molto scuri, che ha dato un nuovo aspetto, quello attuale, all’Arcadia. Queste piante risultano avere un’età di 60-70 anni, ma anche notevoli problemi fitosanitari per danni corticali causati dal rigidissimo inverno 1985, poi parzialmente rimarginati, e soprattutto per marciumi causati da tagli incauti e ristagni idrici del terreno sottostante molto costipato. Gran parte delle aree a verde sono infatti oggi usate impropriamente molto più per le auto che per le persone, le quali non riescono fisicamente a percorrerle. Come è chiaramente comprensibile da questo breve excursus storico, il “paesaggio dell’Arcadia” è cambiato più e più volte nel corso del tempo (un pistoiese nato all’inizio del ‘900 ne ha viste due o tre versioni diverse), e non rimarrà a lungo come è oggi, a causa delle precarie condizioni dei lecci e del suolo che li ospitano.

 Futuro. È possibile, immaginare trasformazioni e un futuro sostenibile di questa area urbana e di altre analoghe. Per esempio recuperando, grazie a nuove varietà parzialmente resistenti alla grafiosi, la presenza dell’olmo ormai scomparso come albero dai nostri paesaggi a causa di una malattia indotta da un fungo (Ophiostoma ulmi sinonimo di Ceratocystis ulmi e Graphium ulmi) che nel ‘900 ha decimato questa specie. Oggi l’olmo riesce a svilupparsi per qualche anno prima di venire colpito dalla malattia, che così l’ha condannato a una eterna “adolescenza” facendolo considerare ormai più un cespuglio che l’albero imponente qual era; o ancora, recuperando il concetto di comunità vegetale, che crea dei paesaggi non uniformi ed equilibrati, in questo caso scegliendo specie arboree diverse come i suddetti olmi, ma anche querce, platani e tigli, da aggiungere ai pochi lecci in buone condizioni, per formare un vero e proprio “bosco urbano”. Oppure ripensando ai viali e alle altre aree verdi degradate o in precario stato non solo come infrastrutture di complemento al traffico e alla sosta veicolare, ma dando loro nuove funzioni urbane e reinventarle in una rete di organismi vegetali e di greenways cittadine, ancora oggi largamente insufficienti in tutte le nostre città e a Pistoia in particolare.