Il cambiamento della frequenza degli incendi produce effetti dannosi nel corso dei decenni. I risultati di una ricerca statunitense
Un evento disastroso come un incendio in un bosco è sicuramente una fonte di preoccupazione per gli effetti sul breve periodo, come la scomparsa della vegetazione, la morte o la dispersione della fauna, il brusco interrompersi della naturale successione ecologica. Risultano però più difficili da valutare gli effetti su periodi più lunghi oppure quelli dovuti al ripetersi di eventi successivi, che riguardano i servizi ecosistemici come il corretto svolgimento del ciclo degli elementi.
Lo studio. La frequenza degli incendi sta cambiando ma non è ancora chiaro come tali cambiamenti possano influire sullo stoccaggio del carbonio nel suolo e sul ciclo dell'azoto. Questi due importanti fattori sono i principali driver della produttività degli ecosistemi; è quindi necessario avere un quadro di informazioni riguardo la situazione globale.
È stato condotto uno studio per valutare come l'aumento della frequenza degli incendi influisca su questi fattori nel corso dei decenni. Per avere una restituzione di dati capace di fornire una statistica su un’ampia casistica di ambienti sono state analizzate le misurazioni effettuate per 65 anni in 48 siti.
La meta-analisi ha rilevato che i siti che hanno subito incendi più frequenti presentano un significativo abbassamento nel tempo dei livelli superficiali di carbonio e azoto: in media il tenore di carbonio risulta inferiore del 36%, mentre quello di azoto del 38%, rispetto a siti che non hanno mai dovuto affrontare il disastro di un incendio.
I risultati indicano che i futuri cambiamenti nella frequenza degli incendi potrebbero portare a mutamenti importanti nella quantità di carbonio e azoto immagazzinato nei terreni, specialmente in aree come praterie e foreste di latifoglie. La frequenza degli incendi varia in relazione al cambiamento climatico e alle modificazioni di uso del suolo; la previsione è che continui a cambiare nei prossimi anni come conseguenza dell’aumento delle temperature e della crescita demografica. I ricercatori hanno rilevato che in molti siti questa frequenza è in aumento, in altri, invece, in diminuzione.
La scarsa letteratura scientifica sull’argomento non permette di ottenere risposte precise sullo stoccaggio di carbonio negli ecosistemi e di prevedere come può cambiare la produttività della vegetazione in relazione a questi cambiamenti di frequenza. Il modello utilizzato nello studio mette in relazione le perdite a lungo termine dell'azoto nel suolo causate da una combustione più frequente con la diminuzione del carbonio sequestrato dalla produttività primaria netta. Di conseguenza, omettere le modifiche decennali nel pool di terreni oggetto della ricerca può portare a sottostimare le perdite di carbonio negli ecosistemi anche del 30%.
Le conclusioni. Nel complesso, i risultati suggeriscono che le variazioni nella frequenza degli incendi potrebbero influire sull’intero ecosistema in maniera significativa, andando a modificare in ultimo il quantitativo di carbonio stoccato in modo permanente. La limitazione della disponibilità di azoto per la crescita delle piante è un fattore importante che concorre al peggioramento delle performance dell’ecosistema. I pascoli e le foreste di latifoglie sono risultati essere gli ambienti più vulnerabili, in particolare su una prospettiva di lungo termine come quella valutata nella ricerca.
I risultati indicano inoltre che le stime attuali delle perdite di carbonio generate da un incendio (che non tengono conto degli effetti nel corso dei decenni) possono sottostimare significativamente le conseguenze per gli ecosistemi.
Attuare politiche di protezione verso gli eventi dannosi come gli incendi può garantire il mantenimento di una corretta fornitura di servizi ecosistemici, oltre a proteggere gli ambienti vulnerabili dai non meno gravi effetti riscontrabili sul breve termine.