La protezione del suolo comprende anche le misure di gestione post-incendio. Il contributo della ricerca è fondamentale
Il terreno delle foreste è reso stabile anche grazie alla massiccia presenza di radici delle specie arboree, che prevengono i rischi naturali come le frane. Tuttavia lo sviluppo degli apparati radicali è influenzato sia dalle proprietà del terreno che da fattori come la raccolta del legname o dagli incendi. L’effetto stabilizzante operato dalle radici può quindi variare notevolmente, in termini assoluti e temporali. Un recente studio effettuato sulle faggete colpite da incendi mostra come l’effetto di stabilizzazione del suolo da parte delle radici varia nel corso del tempo. Le foreste che hanno subito incendi gravi o anche solamente moderati perdono completamente il loro potere protettivo nei confronti del terreno in 15 anni, con conseguenze sul rischio di frane che si protraggono fino a 50 anni dopo l’evento dannoso.
La gestione degli ecosistemi forestali è una parte importante della Disaster Risk Reduction (Eco-DRR) per la strategia delle Nazioni Unite (2015-2030), che mira a ridurre il numero di persone interessate da possibili disastri naturali.
Per questo la pratica selvicolturale che comprende la cura, il controllo e la rigenerazione delle foreste, dovrebbe includere un’attenta pianificazione per l’attuazione delle misure tecniche volte alla prevenzione del deterioramento di tali ambienti (compreso il rischio di incendi).
Lo studio in esame si è occupato del comportamento del faggio (Fagus sylvatica) nei confronti dei danni da fuoco a medio termine, correlando i dati alla loro influenza sulla stabilità dei pendii.
Il faggio è una pianta molto sensibile ai danni da fuoco per la corteccia sottile e una scarsa capacità rigenerativa. Generalmente, in una situazione post-incendio, si rileva la scarsa sopravvivenza di esemplari adulti in grado di riformare semi.
I ricercatori hanno selezionato 34 siti interessati da incendi, con una composizione di specie che vede il faggio in netta predominanza, con percentuali che superano l’80%. I siti sono stati classificati in base alla gravità dei danni da fuoco: bassi, medi, elevati.
I ricercatori hanno quindi determinato la "capacità protettiva" dei siti contro le frane modellizzando una serie di parametri, come la distribuzione e le caratteristiche delle radici, le proprietà della popolazione arborea, le condizioni del terreno e l’inclinazione del pendio.
Nelle foreste incombuste e a bassa combustione, la capacità protettiva è rimasta costante nel tempo. Le foreste colpite da danni moderati hanno continuato a fornire un'adeguata protezione per solo su terreni coesi, ovvero quelli compatti con preponderanza di argilla e limo.
In caso di incendi da moderati a gravi, la funzione protettiva della foresta è diminuita della metà in soli sei anni dopo la combustione e scompare completamente entro 15 anni. Queste aree, pertanto, si trovano ad affrontare una maggiore probabilità di frane, che permane per almeno 40/50 anni dopo l’incendio.
Questo studio ha una certa rilevanza per le politiche ambientali dei prossimi anni; permette infatti ai responsabili politici di pianificare un'adeguata gestione post-incendio delle foreste nell’ottica del cambiamento climatico.
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