Recupero degli ecosistemi: una priorità assoluta

Il ripristino degli ambienti degradati visto da un team di ricerca. Emerse nuove linee guida per il raggiungimento degli obiettivi
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Nel 2013, l'UE ha prodotto 322 milioni di tonnellate di sostanze chimiche, dei quali una quota significativa (oltre il 40%) dannose per l'ambiente acquatico. Questi composti che contaminano l'ambiente possono potenzialmente ridurre la biodiversità, causando perdite dei servizi ecosistemici, dai quali dipende la vita sul pianeta. Vi è quindi un crescente interesse verso il ripristino degli ecosistemi contaminati. Diversi rapporti indicano che il restauro ecologico aumenta la biodiversità. Alcune valutazioni indicano che i suoi benefici economici sono superiori ai suoi costi.

Un nuovo approccio. La Convention on Biological Diversity fornisce delle linee guida ben chiare: fare ogni sforzo possibile per recuperare gli ecosistemi degradati. Ci sono anche leggi nazionali e internazionali in materia di contaminazione chimica, che spesso partono dal concetto “chi inquina paga”, necessario deterrente per i produttori. Eppure vi sono scarse opinioni scientifiche disponibili su quandodove e come ripristinare gli ecosistemi degradati dai contaminanti. Per rimediare a questo, in una recente revisione, alcuni autori internazionali hanno combinato le conoscenze teoriche con le attività di ripristino in campo per fornire una guida ai professionisti e alle autorità di regolamentazione. Essi hanno analizzato la letteratura sui meccanismi e le strategie per il ripristino, tra cui la teoria economica ed ecologica dei contaminati affiancandole ad uno sguardo sul lato pratico.

Dalla teoria alla pratica. Si evidenziano innanzitutto le differenze tra recupero passivo e attivo. Il primo si basa sull'eliminazione dei contaminanti e sul naturale recupero dei processi naturali, il secondo prevede invece un intervento antropico nella velocizzazione del corso del restauro, ad esempio attraverso nuove piantagioni arboree.
Decidere se utilizzare il restauro passivo o attivo dipende in parte dal luogo, ovvero se il restauro si svolge in un paese che richiede la riparazione compensativa (quando chi inquina è tenuto a risarcire il pubblico per i servizi ecosistemici perduti fino al restauro completo). In questi casi, il restauro passivo può essere più costoso per chi inquina, perché tende ad essere più lento rispetto a quello attivo.
Mentre l'intervento antropico può essere più conveniente, gli autori ricordano che è importante valutare se sia effettivamente necessario prima di attuare un piano di risanamento, in quanto comunque comporta un disturbo dell'ambiente naturale.
Quindi, una volta che il metodo di restauro è stato deciso, quando dovrebbe cominciare? I ricercatori affermano che il recupero può essere avviato per diversi motivi: un evento ambientale recente, finanziamenti disponibili o una modifica ai regolamenti. Sebbene la tempistica dipende dalla condizione del sito (vale a dire se la contaminazione è ancora presente), un finanziamento adeguato e la volontà politica di impegnarsi in quello che potrebbe essere un processo costoso e a lungo termine sono fondamentali.
In questa fase, è importante minimizzare il disturbo e garantire una protezione delle aree sensibili, più esposte al fattore contaminante.

Una parte fondamentale di qualsiasi progetto è l'obiettivo finale ovvero il completo recupero: stabilire le condizioni di base è quindi la chiave del successo dell'operazione. Due approcci possono essere utilizzati per identificare le condizioni di riferimento dei siti contaminati: stato storico(pre-contaminazione), o stato di comparazione, utilizzando siti analoghi per caratteristiche al di fuori della zona inquinata. Così come le condizioni basali, è importante avere obiettivi chiari per misurare il successo del restauro ambientale. Su questo punto manca un'affermazione univoca e spesso si parla di ripristinare solo la copertura vegetativa. I ricercatori mettono in chiaro come siano molti i fattori che concorrono al raggiungimento dell'obiettivo tra cui la composizione genetica delle popolazioni selezionate, l'abbondanza di specie, le caratteristiche funzionali delle specie, la struttura della comunità, la composizione e la funzione degli ecosistemi.
Anche se la risposta sul dove ripristinare può sembrare avere una risposta ovvia (il sito danneggiato), ci sono casi che rappresentano chiare eccezioni. Esempi includono le situazioni in cui la contaminazione non può essere rimossa senza causare danni, o dove il terreno non è ormai sano abbastanza per sostenere la vita.

I consigli dei ricercatori. Per concludere, gli autori forniscono tre raccomandazioni chiave. Dicono che il restauro deve iniziare appena possibile, deve avere un obiettivo strutturale (es. biodiversità) e uno funzionale (es. servizi ecosistemici). Gli operatori dovrebbero prendere in considerazione nuove idee e nuovi approcci, come la bonifica microbica o il pagamento per i servizi ecosistemici, che possono contribuire a superare le limitazioni scientifiche e quelle finanziarie.